Le religioni

Un’atmosfera mistica pervade l’intero territorio. L’India è una terra dalle molte religioni. In essa, infatti convivono Induismo, Buddismo, Islamismo, Sikhismo e Cristianesimo. Il 90% della popolazione indiana è di fede Indu. Il 10% è costituito dalle altre. Nonostante la prevalenza dominate della filosofia induista il livello di tolleranza è estremamente alto.

L’Induismo
“Se vuoi conoscere i tuoi pensieri di ieri
osserva il tuo corpo di oggi.
Se vuoi sapere come sarai domani,
osserva i tuoi pensieri di oggi”
(proverbio induista)


Non è una religione, è uno stile di vita. L’induismo non possiede infatti un singolo fondatore, né una teologia specifica e nemmeno un’autorità centralizzata. Gli Indu credono che tutte le forme di vita provengano da uno spirito estremo chiamato Brahman che si manifesta in Brahma che è il dio della creazione. Una volta venuti al mondo, tutti gli esseri viventi devono sottoporsi al dharma (i doveri inerenti la propria posizione nel mondo) e al samsara (ciclo infinito della vita che è costituito da morte e reincarnazione). La vita della salvezza va perseguita attraverso un kharma virtuoso che conduce il fedele al moksha (emancipazione) ossia il ricongiungimento definitivo dell’anima con lo spirito estremo. Il principio del Karma è basato sul fatto che ogni buon pensiero, parola o azione comporta una reazione che ha il suo effetto nelle vite successive e ogni pensiero impuro o cattiva azione si riflette nella stessa vita o nella vita successiva. Il costante tentativo di “elevarsi” e di raggiungere il kharma virtuoso è il principio su cui si basa il sistema delle caste della società hindu.
Il termine antico utilizzato per indicare le caste era “varna”, questo termine sanscrito non vuol dire né casta né ceto sociale ma vuol dire colore, inteso come colore della mente. E’ agli occhi di tutti che esistono persone nobili, pacifiche ed elevate, esistono anche delle persone dinamiche ed intraprendenti, allo stesso modo esistono persone estremamente pesanti e scure. In base a questa consapevolezza, furono create le caste che sono, secondo la tradizione, la struttura sociale portante della società hindu: vivere una vita onesta e portare a compimento il proprio dharma (dovere morale) aumenta la probabilità di rinascere in una casta superiore e quindi in condizioni migliori. Gli hindu nascono in una delle seguente 4 caste (varna):
Brahmin: i brahmini, ovvero la classe intellettuale, scientifica e contemplativa, costituiti soprattutto da sacerdoti ed insegnanti. Si narra i brahmini sarebbero usciti dalla dalla bocca del dio Brama all’atto della creazione;
Kshatriya, ovvero la classe politica e guerriera, rappresentata soprattutto da re e guerrieri. Proprio in virtù del loro ruolo, secondo la tradizione, gli kshatriya avrebbero invece avuto origine dalle braccia del dio;
Vaishya, la classe dei commercianti che costituivano la base commerciale dello stato, ipoteticamente nati dalle cosce della divinità
Shudra, ovvero la classe degli operai, per lo più braccianti, che svolgevano il lavoro manuale che la tradizione vuole originati dai piedi del dio Brama.
Al di sotto di queste quattro caste principali si trovano i dalit (un tempo conosciuti come gli intoccabili) che da sempre svolgono lavori più umili. Le caste imponevano una serie assai complessa di regole, tra cui, principale, l’endogamia (la possibilità cioè di sposarsi solo all’interno della casta), e numerose disposizioni di purezza rituale, tra cui l’astensione da certo cibo (i brahmani dovrebbero essere rigorosamente vegetariani) o il divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande ecc.). Il sistema delle caste fu ufficialmente bandito nel 1950 dalla Costituzione dell’India indipendente (che anzi prescrive protezioni e garanzie specifiche per le caste più basse, i “fuori casta” e le tribù primitive). Nei fatti, però, si sviluppò sia in riferimento al sistema elettorale maggioritario sia rispetto alle divisioni del mondo del lavoro sia, nei ceti più elevati e più colti, come garanzia di status e ancora oggi nella caotica società è possibile riconoscere alcune di queste classi, che creano peraltro molta confusione e generano non pochi conflitti interni.
L’Induismo vanta la presenza di circa 330 milioni di divinità. Le tre principali sono:
Brahma: il creatore dell’universo. Ha 4 facce ma solamente 3 possono essere viste. Viene generalmente rappresentato in meditazione. Ha 4 mani che indicano le 4 direzioni. Vishnu: il preservatore o protettore dell’universo. E’ sempre rappresentato di blu e ha 4 o più mani. Egli viene rappresentato mostrando due dei suoi simboli più caratteristici: una ruota e una conchiglia. La ruota rappresenta la mente universale e i poteri di creazione che formano il divenire dell’universo. La conchiglia è, invece associata all’origine dell’universo attraverso la sua forma a spirale e la connessione con l’acqua. Il suo mezzo di trasporto è il garuda (un animale metà uomo e metà uccello).
Shiva il distruttore.
Tra le divinità più amate c’è Ganesha figlio di Shiva e Parvati, Dio della saggezza, ha la testa di un elefante ed il corpo umano. La mitologia induista presenta tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una testa di elefante; Secondo una di queste leggenda Parvati, intenta a lavarsi, aveva espressamente richiesto al figlio Ganesha di non far entrare nessuno. Rispettando il volere della madre, negò l’ingresso a Shiva e quest’ultimo, dalla rabbia, gli tagliò la testa. Parvati alla vista di suo figlio morto ordinò a Shiva di riportarlo in vita. Il dio, non trovando l’originaria testa, la sostituì con quella del primo essere nelle vicinanze che era appunto un elefante!
E’ il dio della buona fortuna e della prosperità; è il dio che rimuove gli ostacoli ecco perché si trova ovunque in particolare sopra l’ingresso o la porta delle abitazioni. Il suo mezzo di trasporto è un topo che rappresenta l’ego, la mente con tutti i suoi desideri, la bramosia dell’individuo

Sikhismo
La parola Sikh, dal sanscrito sishiya, significa discepolo; e sikh è colui che segue la dottrina dei Dieci Guru e dell’ Adi Grantha Sahib, il Libro sacro che incarna l’essenza finale del Guru. Il primo dei Dieci Guru fu Nanak, il fondatore, che cercò di conciliare alcuni elementi dell’induismo con altri dell’Islamismo e del Cristianesimo.
Ne risultò una religione monoteista, ricca di elementi sincretici, aniconica, contraria a ogni forma di ascetismo, al celibato e al formalismo dei rituali. Il Sikhismo rifiuta la divisione della società in caste, credendo nel principio di uguaglianza degli uomini al cospetto di Dio; in base a questo principio è affermata, almeno formalmente, la parità tra uomo e donna e non esiste un clero. Tutti i Sikh, per evitare la distinzione di casta deducibile dal cognome, adottarono come tale Singh, leone, per gli uomini e Kaur, principessa, per le donne.
Dal Cristianesimo e dall’Islam proviene lo stretto monoteismo, la fede in un Dio unico creatore, anche se va osservato che il Sikhismo si sviluppò in un momento di grandi riforme anche all’interno della cultura indù, quando il culto di Krishna e il movimento Bhakti, al quale Nanak fu molto vicino, si rafforzò al punto da oscurare tutti gli altri dei indù.
Dell’ Induismo permangono numerose tracce, come la credenza nel ciclo delle rinascite, samsara, e negli effetti delle azioni sulle vite successive, karma; l’obiettivo finale è però qui quello di interrompere il ciclo continuo delle rinascite nella congiunzione estrema con Dio, che si ottiene attraverso la fede e le buone opere. Il Guru è il tramite vivente tra Dio e gli uomini, partecipe della natura divina ma anche di quella umana; questo elemento segna una forte cesura con l’Islamismo per il quale umanità e divinità sono inconciliabili. I Sikh sono invitati a raggiungere un equilibrio tra gli obblighi spirituali e quelli temporali; la fede sincera, le buone opere e il lavoro onesto fanno acquisire meriti davanti a Dio; la condivisione dei beni è ritenuta fondamentale della vita quotidiana. Sono particolarmente festose le celebrazioni delle festività locali legate al mondo rurale e contadino, come la festa del raccolto di primavera, di Baisakhi, o Vaisakhi, il 13 Aprile, durante la quale si commemora anche la fondazione della Khalsa. Danze banchetti comuni si tengono in ogni villaggio al ritmo di una musica ormai nota in tutto il mondo: il Bhangra Il Decimo e ultimo Guru fu Gobind Singh, nel XVII secolo, che integrò il pacifismo iniziale con nuovi concetti: organizzò infatti i Sikh in una comunità compatta e militarmente strutturata per far fronte alle persecuzioni messe in atto nei confronti della comunità soprattutto dall’ imperatore moghul Aurangzeb. Fu allora legittimata la lotta armata come forma di difesa e di tutela della liberà di culto. Risale a quest’epoca la fondazione del Khalsa, l’ordine dei Sikh pronti a sacrificare la vita e a diventare Jatas, martiri in nome della religione. E’ rinomata l’abilità e la dedizione sikh in campo militare. Sempre a quel periodo risale l’osservanza delle cinque K: Kesh, capelli e barba lunghi, simbolo di santità e forza spirituale, Kashaira, un genere di biancheria intima, tipo boxer, Kara, braccialetto di ferro da portare al polso, Kangha, pettine usato per raccogliere i lunghi capelli, Kirpan, piccola daga o pugnale. Si tratta di elementi dalla valenza fortemente simbolica che ancora oggi rendono i Sikh facilmente riconoscibili in ogni parte del mondo. Sotto il perfetto turbante sikh, si nasconde una sorta di bandana, che copre la crocchia di capelli assicurata sulla sommità del capo. I bimbi sikh, a volte ricoprono esclusivamente la crocchia con centrini di stoffa a disegnini.
La vita sociale si svolge prevalentemente nei Gurudwara, che sono anche scuola, centro di ritrovo e di accoglienza, di formazione e di lavoro sociale, oltre che Tempio. Durante le suggestive cerimonie religiose è particolarmente interessante l’esecuzione degli Shabad, canti religiosi i cui testi furono composti dallo stesso Guru Nanak e costituiscono una parte dell’ Adi Grantha Sahib.
I Langar poi rappresentano l’ elemento più caratteristico dei Gurudwara: si tratta di refettori annessi a ogni tempio sikh, gratuiti e aperti a chiunque ne abbia bisogno, qualunque sia il credo di appartenenza.

Giainismo
Il giainismo (o Jainismo) è un'antica religione, inizialmente documentata come una fede a sé stante è soprattutto una filosofia in quanto non implica divinità definite. È basata sugli insegnamenti di Mahavira (559-527 a.C.), un asceta di nobile estrazione che indicava la via alla perfezione umana sulla base della nonviolenza. Secondo la sua dottrina, la filosofia giainista diventa un modo di vivere e un modo di comprendere e codificare le verità eterne e universali che occasionalmente si erano manifestate all'umanità e che più tardi riapparirono negli insegnamenti degli uomini che avevano raggiunto l'illuminazione o onniscienza (Keval Gnan). I fedeli ritengono che nella parte dell'universo in cui ci troviamo e nel presente ciclo temporale, la filosofia sia stata comunicata all'umanità da un mitico maestro Rishabha. Prove risalenti alla civiltà della valle dell'Indo (ca. 3000-1500 a.C.) sembrano attestarne l'esistenza, grazie a sigilli e artefatti dissepolti sin dalla scoperta di questa civiltà nel 1921.
Il giainismo insegna che ogni singolo essere vivente è un'anima eterna e indipendente, responsabile dei propri atti. I giainisti ritengono che il loro credo insegni all'individuo come vivere, pensare e agire in modo tale da rispettare e onorare la natura spirituale di ogni essere vivente, al meglio delle proprie capacità.
Dio è concepito come l'insieme dei tratti immutabili dell'anima pura, come signore fra le anime poiché rappresenta l'infinita conoscenza, percezione, coscienza e felicità (Ananta Gnana, Darshan, Chaitanya, e Sukh). L'universo stesso è eterno, non avendo né inizio né fine (per questo motivo, si ritiene che il giainismo sia una via religiosa che non include la concezione di un dio creatore). Le figure principali sono i Tirthankara. Il giainismo ha due principali varianti: il Digambara e il Shvetambara. I fedeli credono in principi quali l'ahimsa, l'ascetismo, il karma, il samsara e il jiva. Esistono molte scritture sacre redatte in un periodo di tempo molto lungo. Molti seguaci ritengono che il testo religioso principale sia il Tattvartha Sutra, o Libro delle Realtà, scritto 18 secoli fa dal monaco e intellettuale Umasvati.
Predicando un'assoluta non-violenza, il giainismo prevede una forma estrema di vegetarianesimo: la dieta del fedele esclude anche molti vegetali e persino l'acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi. È fatto divieto di mangiare, bere e viaggiare dopo il tramonto ed è invece necessario alzarsi prima dell'alba, poiché la luce del sole (e quindi del mondo) deve cogliere l'uomo sveglio e vigile. Nella tradizione giainista è importante il digiuno: in molte scuole, i laici digiunano nell’ottavo e nel quattordicesimo giorno di ogni mese lunare. Per quanto si discuta se questo aspetto fosse originariamente estraneo alla tradizione giainista, e di origine posteriore, per i laici – e in una certa misura per i monaci – una serie di pratiche devozionali nei templi ha oggi grande rilievo. Uno degli aspetti più paradossali della vita spirituale giainista – oggetto di controversie, anche legali, negli Stati Uniti (dove numerosi giainisti sono emigrati) – è il samlekhana, un digiuno particolarmente severo, condotto nella meditazione e nella preghiera, talora protratto fino alla morte, che in tal caso è definita “la morte del saggio”. In pratica, sono pochi oggi i giainisti che scelgono questa pratica estrema.
La samgha o sangha (comunità giainista) è composta di quattro categorie di persone: monaci (uomini e donne) e laici (uomini e donne). Tutti perseguono i “tre gioielli”: la vera fede, la vera conoscenza e la vera condotta. Secondo alcune scuole, soltanto i monaci (di sesso maschile) possono ottenere la liberazione. I laici, tuttavia, possono partecipare ai meriti dei monaci, tramite i “piccoli voti” – paralleli, ma meno severi, rispetto ai “grandi voti” dei monaci – e così avanzare anche loro, lungo la ruota delle reincarnazioni, verso la liberazione. I “grandi voti” (mahavratas) dei monaci sono cinque, e consistono nell’astenersi dal violare la santità della vita (umana e anche animale), dalla menzogna, dal prendere quanto non è gratuitamente concesso, dalla violazione delle regole della castità e dalla proprietà privata. Alcune scuole aggiungono un sesto voto, che consiste nell’astenersi dal mangiare e bere di notte, anche perché così facendo si potrebbero inavvertitamente – al buio – ingoiare, insieme ai cibi e alle bevande, degli insetti violando così il primo voto. I monaci rimangono in genere per quattro mesi nella stessa località; per il resto dell’anno, percorrono l’India come mendicanti. I “piccoli voti” (anuvratas) dei laici sono paralleli a quelli dei monaci, ma meno rigorosi, e sono completati da sette voti minori, uno dei quali – di notevole importanza sociale – riguarda l’elemosina e il dovere di sostenere i monaci.
Con i suoi 8-10 milioni di fedeli, il giainismo è una delle più piccole fra le maggiori religioni mondiali. Vi sono 6000 monache e 2500 monaci. Malgrado il numero esiguo rispetto al totale della popolazione, in India i giainisti si mettono in evidenza e molti di loro occupano posizioni importanti nel mondo degli affari e in quello della scienza. Godono anche di una certa importanza nella cultura indiana, avendo contribuito in modo significativo allo sviluppo della filosofia, dell'arte, dell'architettura, della scienza e della politica dell'intero paese (lo stesso Gandhi ne risentì in qualche modo).

Buddhismo
Disciplina spirituale che si rifà agli insegnamenti di Siddhartha Gautama, conosciuto poi come Buddha "l'illuminato".
Il buddhismo ebbe origine in India, ai confini del Nepal e dell'Audh, nella seconda metà del VI sec. a.C. È accertato che il Buddha è un personaggio storico, benché la critica occidentale del XIX sec. ne abbia talvolta negato l'esistenza. La dottrina da lui predicata si diffuse in tutta l'India orientale, anche se nulla venne fissato nella scrittura finché il Buddha fu vivo; la comunità buddhista non disponeva né di un canone né di una regola nel senso proprio della parola. Dopo il parinirvana del Buddha (480 a.C.) si avvertì la necessità di raccogliere e unificare gli elementi delle sue dottrine riguardanti la disciplina (vinaya), i dogmi e la legge (dharma) e la metafisica (abhidharma); a questo scopo vennero indetti i concili di Rajagriha (477 a.C.), Vaisali (377 o 367 a.C.) e Pataliputra (249 o 242 a.C.). A poco a poco in seno al buddhismo si costituirono diverse sette (sthavira, mahasamghika, sarvastivadin, ecc.) che diventarono sempre più numerose. La conversione dell'imperatore Asoka (250-249 [?] a.C.) diede nuovo impulso al buddhismo, dichiarato religione di Stato e favorito anche dalle missioni che si svilupparono sia all'interno sia all'esterno dell'Impero; a questo periodo risale tra l'altro la conversione dell'isola di Ceylon (241 a.C.). Le sette acquistarono caratteri che le differenziarono sempre più finché, verso l'inizio dell'era cristiana, si produsse uno scisma: nacque allora un buddhismo con caratteri modificati che, con il nome di "grande veicolo" (mahayana), si contrappose al buddhismo tradizionale chiamato "piccolo veicolo" o theravada o hinayana. Gli avvenimenti politici e, in particolare, la costituzione dell'Impero dei Kushana a nord non facilitarono l'espansione del buddhismo in Cina, attraverso l'Asia centrale. Sotto Kaniska (II sec.) pare sia stato tenuto un nuovo concilio nel Kashmir. Il buddhismo progredì raggiungendo il massimo della fioritura sotto la dinastia dei Gupta (secc. IV-VI), e in seguito gradualmente decadde a causa delle persecuzioni e soprattutto delle invasioni degli Unni, nel V sec.
L’insegnamento originario del Buddha rispondeva a esigenze spirituali sempre più lontane al ritualismo brahmanico e dal carattere elitario della religione vedica; negando anche l’esistenza stessa di un principio assoluto del reale (così come di un soffio vitale personale, l'atman) e ponendo le possibilità di salvezza dal samsara nelle azioni (o non- azioni) del devoto stesso e non nella grazia di un essere superiore, il buddhismo guadagnò nei secoli una diffusione enorme nel Subcontinente, diffondendosi poi in tutta l'Asia centrale e orientale con le sue due principali tradizioni: Hinayana e Mahayana. La dottrina s'incentra sull’impermanenza e l'illusorietà di tutto il reale, e sul desiderio come causa dei frutti delle azioni (karman) che legano l’uomo al ciclo delle nascite e rinascite. Essa è enunciata nelle Quattro Nobili Verità: tutto è dolore esistenziale (duhkha); il dolore è causato dalla sete (trshna), ovvero il desiderio (kama) di oggetti ed esperienze; il dolore è sopprimibile rimuovendo questa sete; il modo per ottenere ciò è l'Ottuplice Sentiero (retta fede, retta decisione, retta parola, retta azione, retta condotta, retto sforzo, retta attenzione, retta concentrazione). Solo così si può raggiungere il nirvana, l'ineffabile "estinzione" del samsara.