Le religioni Giapponesi

Il Giappone possiede due grandi religioni nazionali: il Buddhismo e lo Shintoismo, di cui la maggior parte dei Giapponesi si considera contemporaneamente seguace. Il Buddhismo, con una dozzina di sette, con i suoi 72.000 templi, è praticato dal 38,3% della popolazione: dei circa 300 milioni di buddhisti presenti nel mondo tutt'oggi, circa un terzo è giapponese. La sua importanza per lo sviluppo della cultura giapponese fu immensa e si può paragonare a quella avuta dal Cristianesimo in Occidente. L'arrivo del Buddhismo in Giappone avviene grazie al re coreano Kudara Song Myong che, in segno di amicizia, inviò in dono all'imperatore Kimmei nel 552 una statua di Buddha accompagnata da vari sutra e un gruppo di monaci per spiegarli. Il Buddhismo si basa sulle dissertazioni del filosofo Siddharta Gautama (circa 563-483 a.C.), conosciuto in seguito come Buddha ("l'Illuminato"). Secondo questo credo, tutta la vita è sofferenza. Le cause risiedono nell'affetto, nel desiderio e nell'ignoranza: il rimedio si trova nell'astinenza, nella rettitudine, nella conoscenza e nella meditazione, un percorso che porta alla meta dell'Illuminazione. Per queste ragioni uno dei concetti base della fiosofia buddhista è il Karma, concetto secondo cui la condotta di questa vita determina la qualità della reincarnazione nella successiva.
L'introduzione del culto buddhista fu osteggiata, ma con l'energico appoggio dell’Imperatore si diffuse rapidamente, secondo la sua forma più completa e raffinata da secoli di adattamento a diverse culture. Infatti in Giappone si fuse con il suo primo avversario, lo Shintoismo, le cui divinità diventarono gli dei protettori del Buddhismo fino a quando le due religioni diedero origine al Ryobu-Shinto (lo Shinto dalle due facce), nel quale ad esempio, divinità nazionali come Amaterasu-omi-kami, la dea solare genitrice della dinastia imperiale venne ad identificarsi con Tathagata Vairocana.

Lo Shintoismo o Shintoi rappresenta la religione tradizionale del Giappone, seguito
dal 51,3% della popolazione, così chiamata nel sec. VI ° d. C. proprio per distinguerla dal Buddhismo che, in quel tempo, era stato introdotto in opposizione alla religione originaria. Il nome dello Shintoi proviene dalla lingua cinese: Shin, infatti, significa divinità; “Toi”, invece, significa la via, la dottrina. In realtà lo Shinto non ha né un fondatore, nè dottrina e etica codificate. Nello Shinto vi sono diversi milioni di dei, i cosi detti Kami, manifestati attraverso la natura come alberi, animali, fiumi, montagne e uomini. Nello Shintoismo sono quattro gli elementi fondamentali del culto: la purificazione, che serve per eliminare la presenza del male e dell’ingiustizia; il sacrificio che permette di non perdere il contatto con i Kami; la preghiera che si apre di solito con un inno di lode al Kami e di ringraziamenti e, in ultimo, il pasto sacro, che è la conclusione della cerimonia chiamata naorai, assieme ai kami. I presenti ricevono un assaggio di riso, servito dai sacerdoti.

Lo Shinto divenne religione di Stato a partire dalla metà del XIX secolo, quando nel 1867 l’Imperatore Meiji, con un colpo di stato, si assicurò il controllo del paese e rinnovò politica e religione. Templi e simboli del Buddhismo furono distrutti. Dopo la sconfitta del Giappone, nell’agosto del 1945, l’Imperatore negò la natura divina del sovrano e lo Shinto perse la sua condizione di religione di stato, ma lo Shinto popolare resistette ed acquistò proseliti.

Il culto si svolge nelle case e nei santuari dei quali ancora ventimila esistenti. Un santuario shintoista è la dimora del kami. Nei tre santuari principali shintoisti in Giappone vi sono i tre simboli più importanti: uno specchio, un gioiello ed una spada legati a un mito riguardante la Dea del Sole Amaterasu ed il primo Imperatore del Giappone. Secondo una leggenda, una volta la dea, derisa, si era nascosta in una grotta. Per farla uscire, in modo che potesse diffondere, nuovamente, la sua luce sul mondo, fu usato lo stratagemma dello specchio.

Nella maggior parte delle case si trova un piccolo altare, kamidana, su cui sono disposti oggetti simbolici: un amuleto per i kami, uno specchietto, una candela ed un vaso con ramoscelli dell’albero di sakaki. Il rito inizia sempre con il lavacro delle mani ed il risciacquo della bocca. Indi si deposita davanti all’altare un’offerta di un po’ di riso ed una scodella d’acqua. Si sta in piedi o seduti su un tappetino e si china la testa verso l’altare in segno di deferenza. Dopo una breve preghiera si piega altre due volte la testa, si battono due volte le mani, tenendole sollevate e si termina con un inchino. Infine si portano in tavola le offerte commestibili e si consumano.
Lo Shinto ed il Buddhismo si sono influenzati a vicenda, e non è raro che vengano praticati, alternativamente, anche dagli stessi individui. Si può ricevere la benedizione divina da bambino secondo il rituale shintoista, celebrare il matrimonio in una chiesa cristiana, ed essere seppelliti con una cerimonia buddhista. Per questo il Giappone è considerato, oggi, un laboratorio di religioni.